In guerra, in amore

Succede ogni volta che parla di lei.
Spalanca gli occhi azzurri increspando le rughe ai confini del volto, fa un grosso respiro e apre in modo sproporzionato la bocca, quasi a voler urlare al mondo la sua rabbia.
Poi qualcosa lo trattiene, lui si rimette composto nella sedia, riprende fiato e si calma.
È come se due mani sulle spalle lo fermassero per dirgli “Zitto! Buono, sta buono! Tanto ormai… non puoi più fare niente”.
È in quei momenti che la vedo… basta guardarlo negli occhi e… la vedo.
Lei è lì, spudorata, nuda, beffarda, imponente e maledettamente… vera.
E la sento, quando ascolto quella storia: nel corpo, ovunque. Mi attacca la pelle, lo stomaco, il palato.
Rimango spiazzata e assorbo tutto senza dire niente.
Perché non ci sono parole per consolare, per lenire ma soprattutto non ce ne sono per cancellare.
Vorrei descrivere tutto, quello che vedo, che sento, che prova, che dice, quando gli pongo quella domanda che ogni volta mi sembra troppo leggera, poco importante rispetto alla risposta.
Ma è l’unica domanda.
Ho provato a farne altre ma per lui non ce ne sono. Non puoi chiedergli “com’è cominciata?” o “raccontami tutto dall’inizio alla fine”.
Non lo fa e non lo farà mai.
Perché… non c’è un inizio, né una fine. In guerra come in amore.
E il disastro che porta dentro sono schegge nella mente e nel cuore, che ancora fanno male e si staccano in modo disordinato, quando lui si mette a ricordare.
Vorrei anch’io raccontare come fa lui che mentre l’ascolto e lo guardo, mi trasmette quella terribile sensazione di disagio, rabbia, amarezza e impotenza.

Vorrei catturare l’aria e fermarla nel foglio così le sue parole diventerebbero eterne.

Stefania Zanotto

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